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Appalto di servizi e intermediazione di manodopera



L’appalto è il contratto con il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, a favore di un’altra parte (committente).


Le imprese che esternalizzano intere fasi del ciclo produttivo sono negli ultimi anni in costante aumento specialmente nei settori del trasporto e logistica e dei servizi in genere. Tale evoluzione rende necessario porre alcune cautele per evitare di incorrere in controversie di diverso genere.


Di norma, la crescita della fornitura di servizi appaltati è resa possibile dalle norme di legge a patto che tra il committente e l’appaltante vengano “rispettati” alcuni fattori sostanziali.


Difatti è sempre più “facile” trovarsi in strutture dove nelle diverse fasi di lavoro intervengono alla realizzazione del prodotto o del servizio diverse ditte con l’intento legittimo di rendere più flessibile la gestione del ciclo di produzione e di “premiare” il risultato raggiunto.


Se da un lato appaltare un servizio consente ai datori di lavoro di usufruire di alcune flessibilità gestionali e in alcuni casi anche di attingere a regimi normativi agevolati, legati alle dimensioni aziendali ridotte, dall’altro lato la non genuinità dell’appalto comporta rischi importanti.


La Suprema Corte con sentenza n. 12357/2014 ha affermato che, nell’appalto con collocazione nell'azienda, si configura l’intermediazione vietata di manodopera quando al committente è messa a disposizione una prestazione meramente lavorativa.


Questo vale anche se l’appaltatore non è una società fittizia ma si limita alla gestione amministrativa della posizione del lavoratore, senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione.


La Cassazione afferma che c’è intermediazione e interposizione nelle prestazioni lavorative quando l’appaltatore offre al committente una semplice prestazione di lavoro, mentre all’appaltatore rimangono i compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione, finalizzata a un risultato produttivo autonomo.


Per di più la sentenza in epigrafe afferma che per realizzare un’ipotesi di intermediazione vietata, non è necessario che l’impresa appaltatrice sia fittizia: una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, rimane irrilevante ogni questione inerente il rischio economico e l’autonoma di organizzazione dello stesso.


Negli anni l’orientamento giurisprudenziale aveva posto l’accento sulla possibilità di verifica e controllo diretto da parte del committente e sull’ingerenza nell’organizzazione del servizio, allo dei fatti attuale siamo ben oltre tale interpretazione e pertanto valgono le considerazioni sopra riportate.


Pertanto al fine di scongiurare il rischio di intermediazione di manodopera e altri reati configurabili nella fattispecie è sostanziale che tra l’appaltante e l’appaltatore si rispettino alcuni fattori inderogabili che definiscano nettamente i ruoli e le responsabilità.


Difatti non è raro che in alcuni casi l’appaltatore al mero fine di risparmiare si avvalga di aziende create a sua dimensione e misura utilizzando contratti di lavoro non regolari, applicando un CCNL “inadeguato”.

A tal proposito la nota del Ministero del Lavoro num.14775 del 26 luglio 2016 rende, a mio parere, definitivamente inapplicabili i cosi detti “contratti pirata” con l’intento di aggirare le norme retributive e normative dei CCNL nazionali.


Pertanto, I lavoratori dell’appaltatore non devono sostituire in alcun modo i dipendenti del committente, né devono prendere ordini da soggetti diversi dall’appaltatore, anche se coordinati da un responsabile del committente.

In ogni modo l’affidamento di un servizio o di un’opera potrà essere considerato genuino e, quindi, lecito, se il potere direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati è esercitato dall’appaltatore, con l’assunzione del relativo rischio. Non basta, infatti, la semplice gestione amministrativa del personale.

Si avrà invece un appalto illecito se si riscontrano alcuni di questi presupposti:

  • c’è similitudine di orario tra i dipendenti dell’appaltatore e quelli dell’appaltante;

  • il pagamento delle retribuzioni è effettuato dal committente;

  • i preposti dell’appaltante controllano direttamente i dipendenti;

  • la richiesta delle ferie e dei permessi è presentata all’appaltante che decide se concederli;

  • la scelta del numero di persone da impiegare nell’appalto è rimessa solo al committente;

  • il controllo degli adempimenti dell’appaltatore è fatto dal committente.

Per di più saranno da valutare l'organizzazione dei mezzi e la temporaneità da considerarsi requisiti rilevanti per la genuinità dell’appalto. Non ci sarà interposizione di manodopera se il committente fa un conferimento di strumenti e di capitali minimo, tale da non annullare l’apporto organizzativo dell’appaltatore.


Il personale impiegato nell’appalto non deve essere stabilmente inserito nell’organigramma aziendale del committente, e deve svolgere mansioni diverse dai dipendenti del committente. Ci deve, poi, essere una distinzione netta ed effettiva tra i lavoratori dell’appaltatore e quelli dell’appaltante, tale da evitare rischi di commistione e di interferenza delle attività svolte.


Tali “interferenze” rappresentano uno dei fattori di maggiore rischio tra il committente e colui a cui viene demandato un “servizio” pertanto non si può fare a meno di ribadire che pur essendo legate contrattualmente le aziende debbono avere “vita” autonoma e indipendente.


Non si potrà considerare illecito un contratto di appalto se la prestazione di lavoro svolta dai dipendenti dell’appaltatore impiegati nel servizio non rientra in maniera esclusiva negli obiettivi aziendali del committente.

La non genuinità dell’appalto determinerà l’ipotesi di interposizione illecita di manodopera.


Le conseguenze saranno, innanzitutto, la possibilità del lavoratore impiegato nell’appalto di chiedere giudizialmente il riconoscimento e la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, ossia del soggetto che ha esercitato effettivamente i poteri tipici del datore di lavoro, usandone concretamente la prestazione di lavoro. Inoltre, un contratto di appalto illecito prevede conseguenze in capo allo pseudo-appaltatore e allo pseudo-committente.


L’appaltatore e il committente, che abbiano messo in atto un contratto di appalto fittizio, sono entrambi soggetti all’ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione.


Ad ogni buon conto, l’esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto e, sotto questo profilo, può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell’opera oggetto dell’appalto che dovranno essere rispettate dall’appaltatore, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto, tale definizione e stata ampiamente confermata da diverse sentenze di Cassazione.

 

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