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La normativa sull'orario di lavoro

Introduzione

Diversi sono i quesiti e le richieste di chiarimento sulle applicazioni pratiche delle disposizioni di Legge per attuare correttamente la “gestione” dei tempi di lavoro e dei riposi dei lavoratori subordinati.

Pertanto riportiamo sinteticamente, nei limiti di una complessità oggettiva della materia, le disposizioni e le norme che regolano tale istituto.


Sostanzialmente il decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66, adottato per l’attuazione della direttiva n. 93/104/CE in materia di orario di lavoro, come modificata dalla direttiva n. 2000/34/CE definisce i termini della materia.

La data di entrata in vigore del decreto è il 29 aprile 2003.

Da tale data le norme che regolano i tempi di lavoro e quelli di riposo sono sostanzialmente, e caso raro nel nostro panorama legislativo, restate invariate.


I CONTENUTI DEL DECRETO LEGISLATIVO


Definizioni e campo di applicazione


Il decreto legislativo, dando attuazione organica alle direttive europee, regola, nel pieno rispetto del ruolo dell’autonomia collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi all’organizzazione dell’orario, garantendone l’uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale (comma 1 dell’articolo 1). Mediante il riferimento all’”uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale” è stata, dunque, superata la questione di un’eventuale competenza concorrente della legislazione regionale in materia di orario di lavoro che si sarebbe potuta ricavare dall’art. 117 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, il quale include tra le materie di legislazione concorrente quelle relative alla “tutela e sicurezza del lavoro”.


Vengono definite le nozioni di:

  • orario di lavoro

  • periodo di riposo

  • lavoro straordinario

  • periodo notturno

  • lavoratore notturno

  • lavoro a turni

  • lavoratore a turni

  • lavoratore mobile

  • lavoro “offshore”

  • riposo adeguato

  • contratti collettivi di lavoro.


Nell’ambito dei rinvii operati dal legislatore per i singoli istituti, le integrazioni al dettato normativo possono essere adottate in virtù della contrattazione collettiva nelle diverse sedi in cui, secondo le prassi in atto, la stessa è esercitata (nazionale, territoriale o aziendale).



A partire dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 66, gli apprendisti maggiorenni potranno essere adibiti a lavoro notturno e a prestazioni di lavoro straordinario.



Orario normale di lavoro e durata media settimanale



E’ affidato alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la durata massima settimanale dell’orario.


In sintesi, la disciplina dei contratti collettivi in materia di orario di lavoro, deve considerare che vi è:


  • un limite di legge di 40 ore come orario normale settimanale (realizzabile come media su un arco di 12 mesi: regime multiperiodale);

  • un limite di legge di 48 ore come durata media settimanale della prestazione lavorativa compreso il lavoro straordinario (realizzabile come media su un arco di 4 mesi e – a seguito di contrattazione – su un più ampio arco di 6 o 12 mesi);

  • un limite massimo di legge di 77 ore settimanali lavorabili (ottenuto per differenza);

  • un limite massimo da definire contrattualmente quale durata delle prestazioni settimanali comprese le ore di lavoro straordinario.


Deroghe alla durata dell’orario normale settimanale


ORARIO NORMALE DI LAVORO


  • Orario di lavoro normale: 40 ore settimanali;

  • Facoltà di stabilire tramite contrattazione collettiva una durata minore;

  • Conferma del regime della “multiperiodalità”;

  • Esclusione dalla disciplina della durata settimanale dell’orario, del personale e delle fattispecie previste dall’art.16.





Durata media e durata massima settimanale dell'orario di lavoro


DURATA MASSIMA SETTIMANALE DELLA PRESTAZIONE COMPRESO IL LAVORO STRAORDINARIO


  • Durata massima settimanale: viene stabilita dai contratti collettivi

  • Durata media settimanale: 48 ore settimanali, compreso lo straordinario, calcolata su un periodo non superiore a 4 mesi, elevabile a 6 o 12 mesi dalla contrattazione collettiva

  • Tale periodo va computato senza tener conto delle ferie e delle assenze per malattia



Lavoro straordinario



Il medesimo comma 5 – sempre in linea con l’Accordo del 1997 – prevede, inoltre, la possibilità che i contratti collettivi, in alternativa o in aggiunta alla maggiorazione, dispongano la fruizione di riposi compensativi da parte dei lavoratori che abbiano eseguito prestazioni straordinarie. In questo caso – così dispone il comma 2 dell’articolo 6 – le prestazioni straordinarie eseguite non sono computabili ai fini della durata media dell’orario di lavoro prevista, nella misura massima complessiva delle 48 ore settimanali, dall’articolo 4, comma 2.


Dunque:

  • il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto;

  • in difetto di disciplina collettiva applicabile, lo straordinario è ammesso previo accordo fra il datore di lavoro ed il datore di lavoro, nel limite di 250 ore annuali;


Ipotesi nelle quali lo straordinario è ammesso oltre i limiti previsti:

  • eccezionali esigenze tecnico-produttive non fronteggiabili con l’assunzione di nuovi lavoratori;

  • casi di forza maggiore;

  • eventi particolari;

  • i contratti collettivi possono prevedere che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive per lo straordinario, i lavoratori fruiscano di riposi compensativi.



Pause e riposo giornaliero



L’articolo 7, come già l’Accordo del 1997 (che faceva tuttavia salve le diverse disposizioni collettive), determina in 11 ore consecutive la durata minima del riposo spettante al lavoratore ogni ventiquattro ore. Di conseguenza, la durata massima del lavoro giornaliero viene stabilita nella misura di 13 ore.



L’articolo 8, in linea con i contenuti della direttiva n. 93/104/CE e dell’Accordo del 1997, prevede e disciplina l’intervallo per pausa, di cui il lavoratore “deve” beneficiare quando l’orario giornaliero ecceda le sei ore.



PAUSE E RIPOSO GIORNALIERO


Se l’orario giornaliero di lavoro supera le 6 ore:

  • al lavoratore spetta una pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi;

  • in difetto di disciplina collettiva, al lavoratore spetta una pausa giornaliera non inferiore a 10 minuti

  • al lavoratore spettano: 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore (fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata).


Riposo settimanale



La norma (comma 1) riafferma il principio, avente rilievo costituzionale (cfr. articolo 36, comma terzo, Cost.) secondo cui, per ogni periodo di 7 giorni, il lavoratore ha diritto ad un riposo continuativo di almeno 24 ore, di regola in coincidenza con la domenica (cfr. articolo 2109 cod. civ.) e cumulabile con il riposo giornaliero di cui all’articolo 7.



La successiva lettera d) del comma 2 attribuisce ai contratti collettivi la facoltà di stabilire previsioni diverse, a condizione che ai lavoratori interessati siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali, in cui ragioni oggettive non consentano la concessione di tali riposi, a condizione che ai lavoratori medesimi sia accordata una protezione appropriata.



Inoltre (comma 3), sono elencate le ipotesi in cui il riposo settimanale di 24 ore consecutive può essere spostato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato mediante turni del personale.



Tuttavia, ulteriori attività, non comprese nel suddetto decreto ministeriale, potranno essere individuate, unitamente a quelle di cui alla lettera d) del comma 2, mediante un decreto del Ministro del Lavoro, adottato sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative nonché le organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, ovvero, per i pubblici dipendenti, con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del Lavoro, sempre previa consultazione sindacale.



Con le stesse modalità si procederà (comma 5) all’aggiornamento e all’integrazione delle predette attività. In particolare, per quelle di cui alla lettera d) del comma 2, l’integrazione sarà realizzata “senz’altro”, qualora siano decorsi trenta giorni dal deposito dell’accordo presso il Ministero (c. d. silenzio assenso). Ciò significa che l’emanando decreto dovrà conformare il suo contenuto a quello dell’accordo depositato.



RIPOSO SETTIMANALE
  • durata: almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni, di regola in coincidenza con la domenica ;

  • cumulabilità con le ore di riposo giornaliero;

  • il riposo settimanale può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica, per una serie di attività analiticamente individuate e per tutte le altre che saranno individuate dalla contrattazione collettiva.



Ferie



Viene specificato (comma 1) il principio della durata minima di 4 settimane, che la contrattazione collettiva può aumentare.



E' evidente, quindi, che il decreto legislativo sancisce, sia pure indirettamente, il principio dell'irrinunciabilità del diritto all'intero periodo minimo di 4 settimane di ferie, coerentemente al disposto dell'articolo 36, terzo comma, Cost.



FERIE
  • la durata delle ferie annuali è di almeno 4 settimane;

  • i contratti collettivi possono stabilire condizioni di miglior favore;

  • il periodo minimo di 4 settimane non può essere sostituito dalla indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto.



Lavoro notturno



In conformità con la previsione dell’Accordo del 1997, viene rimessa ai contratti collettivi la determinazione dei requisiti il cui possesso può escludere i lavoratori dall’obbligo del lavoro notturno.


Ne consegue che non sussistono più ipotesi di precedenze nell’adibizione al lavoro notturno, ma che la contrattazione collettiva può prevedere esclusioni.



Viene inoltre specificato, in conformità al disposto dell’articolo 53 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) che “non sono obbligati” a prestare lavoro notturno (in altri termini, non vi è un divieto di lavoro notturno, ma possono rifiutare di compierlo) i soggetti indicati alle lettere a), b) e c) dell’articolo 11.



La nuova disposizione rettifica la portata della norma del 1999, esprimendosi in termini di mera eventualità per quanto riguarda la riduzione, da parte della contrattazione collettiva, dell’orario di lavoro o la definizione dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Il medesimo comma 2, nel secondo periodo, recepisce la sostanza delle osservazioni critiche formulate da Confindustria, stabilendo che sono fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori notturni, anche se non concesse a titolo specifico.



Il comma 2 dell’articolo 14 trova preciso riscontro letterale nell’Accordo del 1997 e, su tale base, snellisce il testo dell’articolo 11, comma 1, del decreto n. 532/1999, garantendo un regime di equivalenza fra lavoro notturno e turno diurno quanto alla predisposizione, da parte del datore di lavoro, di un adeguato livello di servizi o di mezzi di prevenzione o protezione.



L’articolo 15 disciplina l’ipotesi in cui sopravvenute condizioni di salute comportino l’inidoneità del lavoratore alle prestazioni notturne, accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche.In tale evenienza, mentre l’articolo 6, comma 1, del decreto n. 532/1999 garantiva al lavoratore l’assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni, la versione ora adottata dall’articolo 15 – con formulazione più aderente al dettato della direttiva n. 93/104/CE – specifica che il trasferimento dell’interessato al lavoro diurno avverrà con l’assegnazione a mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.



LAVORO NOTTURNO
  • è vietato adibire al lavoro fra le ore 24 e le ore 6 le donne gestanti e puerpere fino al compimento di un anno di età del bambino;

  • i contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esonerati dall’obbligo del lavoro notturno;

  • la legge prevede ulteriori ipotesi di non obbligatorietà del lavoro notturno;

  • i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità della consultazione sindacale che deve precedere l’introduzione del lavoro notturno

  • l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore in media su 24;

  • i contratti collettivi (anche aziendali) possono stabilire un periodo di riferimento più ampio su cui effettuare la media;

  • le eventuali riduzioni di orario o gli eventuali trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni sono affidati alla contrattazione collettiva;

  • devono essere eseguiti controlli preventivi e periodici, previsti dalle disposizioni di legge o eventualmente dai contratti collettivi, al fine di valutare lo stato di salute dei lavoratori addetti al lavoro notturno;

  • in caso di sopravvenuta inidoneità al lavoro notturno, accertata dalle competenti strutture sanitarie, il lavoratore con le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, verrà adibito al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.



Deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale



La facoltà di deroga può essere esercitata nei contratti collettivi nazionali ovvero, per evitare che la materia possa costituire elemento di difficoltà se inserita nell’ambito delle fasi di rinnovo contrattuale, possono essere conclusi appositi accordi, sempre a livello nazionale, tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie dei contratti collettivi nazionali.


La facoltà suddetta può essere esercitata anche al secondo livello di contrattazione. In questa ipotesi, le deroghe devono essere pattuite nel rispetto delle regole stabilite in sede di contrattazione nazionale.



Qualora, poi, non risultasse possibile definire alcun accordo, è previsto che le deroghe possano essere adottate con decreto del Ministero del lavoro, su richiesta dei sindacati nazionali di categoria o delle associazioni nazionali di categoria dei datori di lavoro (gli uni e le altre firmatari dei contratti nazionali di lavoro), e sentite le parti stesse, ovvero, per i pubblici dipendenti, con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del Lavoro, sempre previa consultazione sindacale.


Gli istituti oggetto delle possibili deroghe per decreto (comma 2) sono gli stessi di cui al primo comma, con l’aggiunta del periodo di riferimento (art. 4, terzo comma), che potrà, però, essere elevato soltanto fino a sei mesi, mentre la deroga per contratto collettivo consente di elevare il periodo fino a dodici mesi.



DEROGHE

  • I contratti collettivi nazionali, ovvero quelli di secondo livello, se previsto dalla contrattazione nazionale, possono apportare deroghe alla disciplina di legge in tema di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno;

  • In difetto di disciplina contrattuale le deroghe possono essere concesse per decreto ministeriale, sentite le parti sociali, in riferimento ad una serie di attività individuate specificamente dalla legge.



DIRIGENTI, PERSONALE DIRETTIVO, LAVORO A DOMICILIO E TELELAVORO


A queste categorie di lavoratori non si applica la disciplina di cui agli articoli: 3 (orario normale di lavoro), 4 (durata massima dell’orario di lavoro), 5 (lavoro straordinario), 7 (riposo giornaliero), 8 (pause), 12 (modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di comunicazione) e 13 (durata del lavoro notturno)


Le sanzioni per il datore di lavoro inadempiente


SANZIONI

Il datore di lavoro che non rispetta i limiti imposti dalla legge in merito all’orario lavorativo può incorrere in pesanti sanzioni.

Ad esempio, se non verrà rispettato il limite delle 48 ore settimanali il datore di lavoro andrà incontro alle seguenti sanzioni amministrative:

  • da 200 a 1.500 €, se la violazione ha riguardato fino a 5 lavoratori o si è verificata in meno di 3 periodi di riferimento;

  • da 800 a 3.000 €, se la violazione ha riguardato da 6 a 10 lavoratori o si è verificata in almeno 3 periodi di riferimento;

  • da 2.000 a 10.000 € e non è ammesso il pagamento in misura ridotta, se la violazione ha riguardato più di 10 lavoratori o si è verificata in almeno 5 periodi di riferimento.

 

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