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Il periodo di comporto



Nel presente approfondimento cercheremo di inquadrare al meglio il periodo di comporto, un tema che spesso crea dubbi nelle aziende per effetto della diversa, e sovente ambigua, disciplina prevista dalla contrattazione collettiva .


La “salute” è un diritto costituzionalmente garantito (art.32 Costituzione) che ricomprende al suo interno anche la situazione di malattia del lavoratore, la quale è definibile come quello stato morboso temporaneo che incide sulla capacità lavorativa del soggetto.

La malattia, cosi come l’infortunio o la maternità, costituiscono i classici casi di sospensione del rapporto di lavoro previsti dall’articolo 2110 c.c.


Sempre l’art. 2110 c.c. afferma il principio della garanzia del posto di lavoro durante il periodo di malattia. Infatti il lavoratore durante il periodo morboso oltre a conservare il diritto alla retribuzione, conserva altresì il diritto alla garanzia del posto di lavoro per un periodo stabilito dalle norme contrattuali, vale a dire che durante questo periodo vige, in capo all’azienda, il divieto di licenziare. Questo arco temporale prende il nome di periodo di comporto, al termine del quale, come afferma in maniera prevalente la giurisprudenza, il datore di lavoro potrà recedere ad nutum, ossia a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento.


Nel corso del tempo le varie discipline contenute nei contratti collettivi hanno finito per creare diverse figure di comporto. A tal fine possiamo distinguere tre tipologie:


  1. Comporto secco: ciascun evento morboso va considerato a sé, ad esempio se un CCNL prevede il diritto alla conservazione del posto per un periodo di sei mesi, il verificarsi di due eventi separati 5 mesi non fa venir meno il diritto del lavoratore;

  2. Comporto secco con prolungamento: solitamente è previsto un prolungamento del periodo qualora si verifichi una ricaduta entro definiti periodi temporali;

  3. Comporto per sommatoria: qualunque assenza relativa ad un evento della stessa natura deve essere sommata.


L’ampia autonomia contrattuale nella definizione del diritto in questione ha generato non poche controversie sulle quali è spesso dovuta intervenire la Suprema Corte di Cassazione. Nello specifico molte criticità sono sorte in relazione alla definizione del periodo temporale di riferimento: anno solare, anno di calendario, anno di servizio.

Un’altra questione che ha generato nel tempo ambiguità è stata l’inclusione o meno, nel periodo di comporto, delle giornate nelle quali non ci sarebbe stata comunque prestazione lavorativa, come le domeniche, le festività infrasettimanali, oppure i giorni di sciopero. La giurisprudenza di merito ha supplito a questa carenza normativa affermando il principio secondo cui anche le giornate “non lavorative” devono essere considerate nel calcolo del periodo di comporto.


Sempre in tema giurisprudenziale alcune sentenze hanno introdotto il c.d. licenziamento per eccessiva morbilità. Stiamo parlando del licenziamento dovuto a ripetute assenze del lavoratore che, seppure non superando il periodo di comporto, per la loro frequenza e continuità rischiano di mettere in pericolo l’attività dell’azienda. Su questo punto è però opportuno, applicando un comportamento prudenziale, analizzare caso per caso la vicenda e il caso pratico.


Cosa accade se il licenziamento viene comminato durante il periodo di malattia, ma prima della fine del periodo di comporto?

Per una parte della dottrina è banalmente nullo. Per altra parte invece è temporaneamente inefficace, ovverosia esplicherà i suoi effetti una volta scaduto il periodo di comporto e, chiaramente, dopo l’eventuale periodo di preavviso dovuto.

Va comunque rilevato che il licenziamento intimato durante il periodo di malattia e prima della scadenza del periodo di comporto è valido ed efficace solo se:


  • Sia intervenuta una giusta causa;

  • La malattia del lavoratore sia irreversibile e dunque il lavoratore non sarà più in grado di riprendere la sua normale attività lavorativa;

  • Il lavoratore è esposto ad una inevitabile ricaduta per le particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.


Alcuni CCNL prevedono, tuttavia, la possibilità di richiedere un periodo di aspettativa non retribuita al fine di evitare il licenziamento.


La ratio del licenziamento comminato al superamento del periodo di comporto risiede nel fatto che una volta trascorsi i termini contrattualmente previsti il datore di lavoro non avrebbe più interesse a ricevere la prestazione lavorativa e, in tutti i casi, l’assenza prolungata causerebbe dei problemi in relazione all’organizzazione dell’attività lavorativa e dunque risulterebbe legittimo il licenziamento del lavoratore.


Occorre evidenziare che, il datore di lavoro che volesse predisporre un recesso al termine del periodo tutelato, ha l’onere di intimare il recesso entro determinati limiti temporali, che dovranno rispettare un criterio di tempestività (Sentenza Corte di Cassazione n.1438 del 23/01/2008).

Infine, sempre la giurisprudenza ha sottolineato la necessità di indicare nella lettera di licenziamento la durata dell’assenza per malattia, in quanto il lavoratore dovrà essere informato per poter effettuare eventuali verifiche. Il motivo di questo orientamento è rinvenibile nell’onere posto in capo al datore di lavoro di dover giustificare, in un eventuale successivo giudizio, il numero totale delle assenze del lavoratore.


Essendo cosi importante la normativa contenuta nei CCNL riportiamo di seguito gli estratti di quanto previsto dai principali contratti collettivi:


Commercio: il CCNL parla di diritto alla conservazione del posto per un periodo di 180 giorni nell’arco dell’anno solare, senza ulteriori specifiche. In tali casi, con riferimento a numerose sentenze in materia, è emerso che qualora nel CCNL non sia previsto altro, per "anno solare" si deve intendere un arco temporale di 365 giorni decorrente dall'inizio del primo episodio morboso. È inoltre previsto un periodo di aspettativa non retribuita pari a massimo 120 giorni. Sono altresì previsti ulteriori periodi di aspettativa nei casi di gravi patologie che comportino terapie salvavita;


Pubblici esercizi: In caso di malattia accertata o di infortunio il personale che non sia in periodo di prova o di preavviso ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 180 giorni per anno, intendendosi per tale il periodo compreso tra il 1°gennaio e il 31 dicembre.

Nel caso in cui il lavoratore si ammali o si infortuni più volte nel corso dell'anno i relativi periodi di assenza sono cumulabili agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto. Per il personale assunto a termine, la conservazione del posto è comunque limitata al solo periodo di stagione o di ingaggio. Qualora allo scadere del periodo per il quale è obbligatoria la conservazione del posto, il personale non possa riprendere servizio per il protrarsi della malattia, il rapporto di lavoro si intenderà risolto con diritto all'intero trattamento di fine rapporto ed a quanto altro dovuto, esclusa l´indennità sostitutiva di preavviso. Il CCNL prevede anche un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita di massimo 120 giorni, che potranno essere richiesti in presenza di determinate condizioni:


a) non si tratti di malattie croniche e/o psichiche, fatto salvo quanto previsto per le malattie

oncologiche;

b) siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici o di degenza ospedaliera;

c) la richiesta del periodo eccedente i 180 giorni sia fatta dal lavoratore come "aspettativa

generica" senza retribuzione e senza diritto a maturazione di alcun istituto contrattuale;

d) il lavoratore non abbia già fruito dell'aspettativa in precedenza.


Con riferimento ai malati con gravi patologie oncologiche accertate da una commissione medica istituita presso l'Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente, il periodo di aspettativa generica sarà prorogato anche se eccedente i 120 giorni.


Industria metalmeccanica: In caso di interruzione del servizio dovuta a malattia o infortunio non sul lavoro, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo che varia da 183 a 365 giorni in funzione dell’anzianità di servizio con la previsione di un comporto prolungato in presenza di determinate condizioni, qui di seguito riportate:


a) evento morboso continuativo con assenza ininterrotta o interrotta da un'unica ripresa del

lavoro per un periodo non superiore a 61 giorni di calendario;

b) quando si siano verificate almeno due malattie comportanti, ciascuna, una assenza

continuativa pari o superiore a 91 giorni di calendario;

c) quando alla scadenza del periodo di comporto breve sia in corso una malattia con prognosi

pari o superiore a 91 giorni di calendario.


I suddetti periodi di conservazione del posto e le causali di prolungamento si intendono riferiti alle assenze complessivamente verificatesi nei tre anni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso.

Anche questo CCNL prevede un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita fino ad un massimo di 24 mesi nel triennio di riferimento a condizione che il lavoratore sia affetto da patologie gravi che richiedono delle terapie salvavita, sempreché non vengano meno le capacità lavorative. Pertanto potrà essere richiesto un periodo di aspettativa, anche in maniera frazionata, per i singoli eventi terapeutici necessari.


Studi professionali: conservazione del posto per 180 giorni. Nei casi di assenze dovute a patologie oncologiche di rilevante gravità, ictus o sclerosi multipla gravemente invalidanti, distrofia muscolare, morbo di Cooley ovvero periodi di degenza ospedaliera determinati da trapianti chirurgici di organi vitali, il periodo di comporto di 180 giorni sarà elevato di ulteriori 90 gg. durante i quali verrà corrisposto al lavoratore il 100% della retribuzione per i primi 2 mesi e il 70% della retribuzione per il terzo mese.

 

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