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Il punto sull'attuale disciplina dei licenziamenti illegittimi



Come è noto la disciplina dei licenziamenti è stata profondamente modificata dal D.Lgs. n.23/2015 (uno dei decreti attuativi del Jobs Act), il quale ha introdotto un nuovo regime sanzionatorio applicabile a tutti i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015.

In tema di licenziamenti è intervenuto anche il decreto dignità convertito in legge n. 96/2018 che ha modificato la misura delle indennità dovute al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, aumentando gli importi minimi e massimi entro i quali l’indennità è determinata. Prima di entrare nel merito è importante sottolineare che per i lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015 rimane applicabile la normativa contenuta nella legge n. 604/1966 e nella legge n. 300/1970, come modificata dalla Riforma Fornero. L’unica eccezione è rappresentata dalla piccole imprese: il decreto attuativo infatti stabilisce che per le imprese che occupano fino a 15 dipendenti e che in forza di nuove assunzioni successive al 7 marzo 2015 dovessero superare la soglia dei 15 dipendenti, troverà applicazione anche per loro la nuova disciplina. Ciò anche nel caso in cui ci siano trasformazioni da tempo determinato (anche per conferme al termine del periodo di apprendistato) in contratti a tempo indeterminato, a condizione che la trasformazione avvenga dopo il 7 marzo 2015.


Vale la pena evidenziare che il D.Lgs. n. 23/2015 ha modificato esclusivamente le conseguenze di un recesso illegittimo: infatti restano fermi i motivi che legittimano il recesso ed in particolare la definizione di licenziamento per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. e giustificato motivo di cui all’art. 3 della legge n.604/1966.


Vediamo, dunque, la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 23/2015 così come modificata dal decreto dignità n. 87/2018 convertito in legge n. 96/2018:


- Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale: in tema di licenziamenti discriminatori nulla cambia rispetto al passato, e anche il decreto dignità e la legge di conversione non intervengono. Infatti i lavoratori che subiscono un licenziamento discriminatorio hanno diritto ad essere reintegrati sul posto di lavoro e ad ottenere un risarcimento non inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, dal quale dovrà essere dedotto l’eventuale aliunde perceptum, ovverosia quanto percepito nel periodo di licenziamento per eventuali ulteriori prestazioni lavorative, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. È possibile per il lavoratore rinunciare alla reintegrazione e richiedere una indennità sostitutiva pari a 15 mensilità esente da contributi previdenziali che tuttavia deve essere richiesta entro determinati limiti temporali. Stesse conseguenze sanzionatorie si hanno in caso di licenziamenti intimati in violazione delle norme sulla maternità e paternità, ovvero in caso di licenziamento per motivi di matrimonio. Allo stesso modo rimane immutata la tutela reintegratoria in caso di licenziamento intimato in forma orale.

- Licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: in caso di licenziamento individuale illegittimo, sia esso per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro è condannato a risarcire il lavoratore con un’indennità pari a due mensilità per ogni anno di anzianità, comunque in misura non inferiore a 6 mensilità e non superiore a 36 mensilità (prima della legge n.96/2018 erano previste minimo 4 e massimo 24 mensilità). Quest’ultima è la principale novità introdotta dalla legge di conversione del decreto dignità. È importante evidenziare che le aziende che occupano meno o al massimo 15 dipendenti si vedono ridotta della metà l’indennità dovuta: per cui una mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 3 mensilità e un massimo di 6 mensilità. La reintegrazione è limitata ai soli casi in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto materiale contestato unitamente alla condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro, nella misura massima di 12 mensilità; il datore di lavoro dovrà altresì provvedere al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino al giorno della reintegrazione, senza applicazione di sanzioni.

- Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: questo tipo di licenziamento inerisce tutti quei casi in cui il datore di lavoro, per motivi economici o produttivi, riduce il proprio personale tramite un recesso individuale. Le motivazioni del licenziamento per g.m.o. sono a titolo esemplificativo e non esaustivo: crisi aziendale; calo del fatturato a seguito di una crisi; calo delle commesse; riorganizzazione degli assetti aziendali, ecc. In precedenza la materia era regolata dalla legge n. 604/1966 e dalla legge n. 300/1970, fino all’intervento della riforma Fornero del 2012 che, come già detto sopra, risulta ad oggi applicabile ai soli lavoratori assunti entro il 6 marzo 2015. Nello specifico questa riforma riduce drasticamente la possibilità di reintegrazione sul posto di lavoro, limitandola ai casi in cui in giudizio emerga la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. In tutti gli altri casi nei quali il licenziamento viene comunque giudicato illegittimo la riforma introduce una tutela risarcitoria con un’indennità variabile tra 12 e 24 mensilità, la cui individuazione viene demandata alla decisione del giudice. Cosa importante su cui vale la pena soffermarsi è la procedura che deve essere rispettata dall’azienda (che occupa più di 15 dipendenti nell’unità produttiva in cui ha avuto luogo il licenziamento, oppure più di 15 dipendenti nello stesso Comune, o in ogni caso più di 60 dipendenti) che procede ad un recesso per g.m.o. di un lavoratore assunto entro il 6 marzo 2015. Senza entrare in “tecnicismi” poco utili in questa sede, prima di effettuare il licenziamento deve essere effettuata una comunicazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro al fine di trovare soluzioni alternative al recesso. Dopodiché l’azienda verrà convocata presso l’ITL e in assenza di accordi potrà procedere al licenziamento. La comunicazione di cessazione non perfeziona, però, il licenziamento ex nunc, ma bensì ex tunc, essendo, per espressa previsione normativa, il recesso efficace retroattivamente sin dalla comunicazione di apertura della procedura di conciliazione; l’eventuale periodo lavorato dal dipendente tra l’inizio della procedura e l’effettivo licenziamento sarà considerato quale preavviso lavorato. La procedura in vigore per gli assunti dal 7 marzo 2015 così come modificata dalla legge n. 96/2018 in caso di licenziamento illegittimo per quanto riguarda le imprese che occupano più di 15 dipendenti spetterà, in forza di tali nuove disposizioni, un'indennità onnicomprensiva equivalente a due mensilità per ogni anno di servizio, comunque non inferiore – ed in questo risiede la novità della nuova legge – a 6 mensilità e non superiore a 36 mensilità. Invece per le aziende fino a 15 dipendenti l’indennità per il lavoratore illegittimamente licenziato è dimezzata ed è pari a una mensilità per ogni anno di servizio, variando tra un minimo di 3 ed un massimo di 6 mensilità. Risulta di fatto non ammessa la reintegra di licenziamenti per g.m.o. essendo prevista solo una tutela risarcitoria, a prescindere dal numero di dipendenti occupati.


Stante l’importante differenza nella disciplina delle aziende fino a 15 dipendenti o oltre i 15, risulta fondamentale un piccolo approfondimento sul computo dei lavoratori in forza. In assenza di una definizione esaustiva da parte della normativa vigente, è intervenuta una ormai consolidata giurisprudenza in materia. Nello specifico, il calcolo dei lavoratori in forza dovrà tenere conto di quello che viene definito “il principio della normale occupazione” dell’azienda. Pertanto il numero della forza lavoro da computare per osservare se l’azienda è sopra o sotto la soglia dei 15 lavoratori dovrà far riferimento al semestre precedente il licenziamento.

Infine, è opportuno rilevare che il datore di lavoro, sempre al fine di evitare l’alea del giudizio, ha la possibilità di offrire, entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, una somma di denaro al lavoratore licenziato, esente da contribuzione previdenziale e da tassazione fiscale, equivalente a una mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 3 e un massimo di 27. Per le aziende fino a 15 dipendenti tale somma è dimezzata, con un minimo di 1,5 mensilità e un massimo di 6 mensilità. Se il lavoratore accetta questa somma, si preclude la possibilità di impugnare il licenziamento, e se già impugnato dovrà rinunciarvi.

 

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