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Taglio Cuneo Fiscale 2023


La legge di Bilancio 2023, in corso di approvazione, ma nei fatti già sostanzialmente definita ha “confermato” in continuità con le precedenti disposizioni legislative la decontribuzione per i lavoratori dipendenti, tuttavia introduce due livelli di retribuzione di riferimento e conseguentemente la doppia articolazione dell’aliquota applicabile secondo la fascia attribuita.


Il beneficio è stato introdotto nel corso del 2022, ed inizialmente la riduzione contributiva era pari al 0,80% poi innalzato da luglio scorso al 2% con l’intento di effettuare un taglio al cuneo fiscale, in pratica il differenziale tra la retribuzione lorda corrisposta ai dipendenti e quanto effettivamente percepisce il lavoratore al netto dei contributi e delle imposte dovute per legge è il beneficio che si matura.

Pertanto il taglio del 2%, attualmente in vigore, continuerà ad essere applicato alle retribuzioni imponibili previdenziali mensili superiori a 1.923 e sino a 2.692 euro, per retribuzioni inferiori, in pratica quelle al di sotto di 1.923,00 euro la percentuale sale al 3% per cento.


Indipendentemente dalla fascia di riferimento la retribuzione su cui calcolare il beneficio potrà essere maggiorata, a dicembre, dell’ammontare della tredicesima, ovvero del rateo pro quota se la mensilità supplementare è pagata ogni mese.

I valori annui di riferimento si determinano moltiplicando le fasce sopra riportate per tredici e definendo due livelli, il più basso fino a 25.000 euro e quello più alto fino a 35.000 euro, oltre tale livello non verrà attribuito alcun “sconto” previdenziale.

Rammentiamo, che la norma individua quale base di calcolo la retribuzione imponibile previdenziale mensile e pertanto il calcolo andrà effettuato su tale elemento che non deve essere confuso con l’imponibile fiscale.

Il controllo sulle fasce (2.692 e 1.923 euro) riguarda il singolo mese e non l’intero anno, tale impostazione normativa potrà dar luogo a diverse attribuzioni di aliquota per le “ normali fluttuazioni” retributive che si possono verificare nel corso dell’anno, su tale aspetto, a differenza di altre agevolazioni l’Inps non ha mai offerto la possibilità di riferirsi a un parametro annuo, in pratica escludendo la possibilità di recupero a conguaglio per i mesi in cui l’agevolazione non è stata applicata o sia stata applicata con la l’aliquota più bassa.

La scelta originaria, che ha individuato come parametro di calcolo la retribuzione imponibile previdenziale, di fatto rende la misura meno efficace, Infatti, la riduzione dei contributi fa venire meno una parte dell’onere deducibile , rappresentato dai contributi obbligatori che riducono l’imponibile fiscale.


In sintesi, i lavoratori che godono del beneficio (2% o 3%) avranno un imponibile fiscale più alto e tale da ridurre parzialmente il benefico attribuito, senza entrare nei dettagli tecnici di calcolo si può definire che l’aumento del netto percepito sia approssimativamente in una “forbice” tra il 65/69% di quanto prodotto sul cedolino paga a tale titolo.


Esempio

Retribuzione previdenziale 1.900,00

Beneficio 3% = 57,00 euro

Mancata riduzione imponibile fiscale 57,00 euro

Imposte pagate in più (calcolo tendenziale) 18,00 euro

Aumento sul netto effettivo 39,00 euro


E’ parere di chi scrive che la strada introdotta sia una misura certamente efficace per ridurre il differenziale il tra il lordo e il netto in busta paga ma che il metodo di calcolo non permette il recupero totale del cuneo attribuito.

Ancora meno comprensibile è il meccanismo, di attribuirlo sull’imponibile previdenziale, che è direttamente connesso all’oscillazione della retribuzione, si pensi ad esempio alle variazioni per tutti gli eventi come malattia e maternità, cig, allattamento, ecc che riducono la base di riferimento.

È auspicabile una evoluzione che permetta la correzione di tali metodi di calcolo.

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