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Tempo determinato – chiarimento ministeriale


Torniamo di nuovo ad approfondire le disposizioni connesse ai rapporti di lavoro a tempo determinato, difatti una nota ministeriale precisa alcuni aspetti che sono da ritenersi sostanziali per la corretta qualificazione del rapporto di lavoro.


In via preliminare, a parere di chi scrive, ogni chiarimento e interpretazione delle istituzioni per disciplinare i parametri del rapporto di lavoro non ha fatto altro che produrre ulteriori incertezze sulla corretta applicazione normativa.

Fare un ricorso storico sulle disposizioni che si sono succedute dall’entrata in vigore del Decreto 87/2023 (c.d. Decreto Dignità) è anche per gli addetti ai lavori di notevole difficoltà essendo alcune norme di legge applicabili in via transitoria e con date di decorrenza articolate e in alcuni casi più per tamponare situazioni particolari come per l’emergenza sanitaria del covid o altre particolari necessita del mercato del lavoro.

Chiaramente dove viene meno la certezza applicativa si suscitano dubbi sulla corretta interpretazione e non è raro che i datori di lavoro, in buona fede, hanno applicato alcune diposizioni in modo incoerente esponendosi a ricorsi di diverso genere.

Procediamo ad analizzare il “chiarimento Ministeriale”, non entreremo in merito delle diposizioni generali della norma, che peraltro, è già stata approfondita con precedenti note pubblicate e prelevabili da nostro sito.


Il D.L. n. 48/2023 ha sostituito le causali molto rigide e, quasi dissuasive, previste dalla previgente normativa, che di fatto interessano i rapporti di lavoro a tempo determinato superiori ai 12 mesi, e ha demandato alla contrattazione collettiva “qualificata” e poi, in assenza della stessa, alle parti (datore di lavoro e lavoratore) la possibilità di indicare condizioni specifiche da apporre al contratto a tempo determinato allorquando si dovesse superare la soglia dei 12 mesi.

In ogni caso, il Legislatore ha confermato la presenza delle causali in tutte quelle situazioni nelle quali occorre sostituire un lavoratore assente come ad esempio per maternità di una lavoratrice.


La circolare numero 9 del Ministero del Lavoro dello scorso 9 ottobre 2023 ha chiarito diversi punti controversi, in ogni caso non vincola, in alcun modo, alcuna autorità in materia che dovesse essere chiamata a decidere in ordine ad un ricorso presentato dal lavoratore.

La nota ministeriale ha affrontato la questione, particolarmente rilevante, relativa alla redazione contrattuale ove va inserita la causale.

Tale informazione è sostanziale per non correre i rischi che già precedentemente al “decreto dignità” hanno palesato delle situazioni di incertezza normativa che hanno portato alla riqualificazione dei rapporti a tempo determinato trasformandoli de facto a tempo indeterminato, a causa della scarsità di informazioni destinate a validare le condizioni inserite nei contratti individuali.

Per evitare possibili richieste anche di risarcimento del danno (oggi, a differenza di quanto non era specificato nel D.lgs. n. 368/2001, è prevista nella norma una durata massima del contratto in 24 mesi), è opportuno che la causale sia ben declinata sulla base di alcuni elementi che possono così riassumersi:


a) deve essere esistente;

b) deve essere specifica;

c) deve essere temporanea.


Nel primo caso, soprattutto se la contrattazione collettiva avrà indicato la casistica (ad oggi, nulla è stato fatto nei CCNL più importanti) o per ciò che avrà definito, in mancanza, il datore con il lavoratore (ma è il datore che decide) per esigenze tecnico-produttive e organizzative, e, per ultimo, per ragioni sostitutive, sarà necessario che la causale sia effettivamente quella richiamata e, quando la stessa, è, chiaramente generica (ad esempio, “picchi più intensi di attività”) sarà opportuno declinare la stessa (e con questo si entra nell’elemento citato sub b) con elementi che la qualificano in maniera precisa e puntuale (ad esempio, appare sufficiente far riferimento ad un incremento di ordini a seguito di una commessa ricevuta da evadere entro una determinata data). Per quel che riguarda la temporaneità della utilizzazione del lavoratore essa si ricava, senz’altro dal termine finale inserito nel contratto, termine che talora può essere definito indirettamente, essendo correlato ad una situazione della persona interessata dalla sostituzione come, allorquando, l’assenza per maternità è strettamente correlata al termine incerto di rientro della lavoratrice.

In ogni caso la possibilità che la causale sia indicata dalle parti, in mancanza di decisioni della contrattazione collettiva ha scadenza di applicabilità fissata al 30 aprile del prossimo anno, nella speranza che entro tale data la contrattazione collettiva nazionale le abbia indicate.

In tale arco di tempo, se necessario, il datore di lavoro (la norma parla di “parti” ma è ovvio che la condizione da apporre viene scelta dal datore e il lavoratore non ha alcuna parte attiva) dovrà indicare le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva alla base del contratto.


E’ certo che stiamo nell’ambito di un qualcosa che è strettamente correlato alla realtà aziendale e che, proprio perché tale, dovrà essere declinato con maggiore puntualità.

Per esperienza sul campo la definizione delle causali che permettono il superamento del tempo determinato oltre i 12 mesi è spesso usata senza alcun fondamento e possibile riscontro reale.

E’ necessario, di nuovo, sottolineare che tale aspetto non è di poco conto per la genuinità rapporto di lavoro e deve essere definita con fatti e motivazioni accertabili e riscontabili senza ombra di dubbio per evitare situazioni spiacevoli.

Nel contratto a termine per attività stagionali le causali possono non essere indicate ma, come ricorda la sentenza della Corte di Cassazione n. 9243 del 4 aprile 2023, la ragione per la stipula si deve, necessariamente, trovare in uno dei casi previsti dal D.P.R. n. 1525/1963 o dalla contrattazione collettiva , anche aziendale.


Difatti se queste non si rilevano e non vengono citate, non è sufficiente indicare un arco temporale di svolgimento del rapporto e la conseguenza è una soltanto, quella della riconduzione nell’alveo del contratto a termine “normale”, con tutta una serie di conseguenze negative per il datore di lavoro.

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