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Il CCNL e il concetto di rappresentatività


L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 3/2018 richiama la lotta ai cosiddetti “contratti pirata” ossia quei contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali e datoriali dotati di indici di scarsa rappresentatività.

Con la richiamata circolare l’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha sostanzialmente annunciato l’avvio di più approfondite verifiche tese ad accertare se, caso per caso, l’applicazione di contratti collettivi poco rappresentativi possa produrre effetti di dumping.


Il nostro ordinamento in tema di contrattazione collettiva sconta un “vizio originale” derivante dalla mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, nella parte in cui riconosceva ai sindacati, una volta registrati presso uffici centrali o locali, la possibilità di stipulare, in proporzione al numero di iscritti, contratti collettivi con efficacia erga omnes (ossia quei contratti applicabili nei confronti di tutti i lavoratori impiegati in un determinato settore). Dunque, è importante sottolineare, che la mancata attuazione del richiamato articolo ha fatto si che i CCNL, ad oggi, sono regolati da norme di diritto privato (nello specifico si definiscono contratti collettivi di diritto comune)


Per ovviare, in parte, a questa disfunzione del nostro ordinamento giuridico, il legislatore intervenne con il D.L. n. 338/1989 e con la legge n. 549/1995 con il fine di porre dei “punti fermi”.

In particolare con queste norme venne disposto che i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni maggiormente, e poi comparativamente, più rappresentative sul piano nazionale dovessero essere utilizzati come indici di riferimento per il calcolo della contribuzione dovuta all’INPS. Nello specifico il D.L. n. 338/1989 all’articolo 1 cosi stabilisce: “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.


Tuttavia il concetto di “rappresentatività” ha avuto risvolti molto complessi sul piano pratico. Infatti in sede di contenzioso giudiziario il grado di rappresentatività è stato alquanto difficile da individuare, e copiosa giurisprudenza in materia ha sottolineato come in assenza di criteri legalmente statuiti sia tecnicamente impossibile definire la maggiore rappresentatività in termini comparativi, rischiando di andare in contrasto con la prima parte dell’articolo 39 della Costituzione, nella quale si afferma che “L’organizzazione sindacale è libera”.


Infatti essendo sancita nel nostro ordinamento la libertà sindacale, sia in termini associativi che organizzativi, il legislatore non può imporre l’applicazione di un determinato contratto collettivo, altrimenti come abbiamo accennato sopra, si realizzerebbe una applicazione erga omnes di un determinato CCNL in assenza di applicazione dell’art. 39 della Costituzione.



La circolare dell’INL non stabilisce dei criteri organici di definizione della maggiore rappresentatività comparativa, rimanendo operanti i principi stabiliti dalla giurisprudenza, la quale afferma che l’eventuale applicazione di un CCNL al posto di un altro pone l’onere in capo al ricorrente (ad esempio l’INPS) di provare la maggiore rappresentatività del CCNL di cui viene richiesta l'applicazione (sentenza del Tribunale di Torino del 13 gennaio 2009, confermata dalla Corte d’appello di Torino). Queste linee guida sono state confermate anche dalla giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte di Cassazione.


Tuttavia, occorre rilevare, il trend relativo al numero di contratti collettivi stipulati ha subito un incremento del 74% dal 2010 al 2017, con un totale di contratti collettivi nazionali di lavoro depositati presso il CNEL pari a 868 (dati dal Sole 24 Ore), ciò anche per effetto di una mancata codificazione da parte del legislatore del tema in questione.


Di non minore importanza è il risvolto relativo ad altre due questioni. La prima questione è quella delle agevolazioni contributive e normative, essendo a tal fine necessaria l’applicazione del CCNL comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale per poter godere dei predetti benefici (legge n. 296/2006). La seconda questione, nonostante la giurisprudenza su richiamata, è sia l’esposizione dell’azienda ad eventuali rivendicazioni dei lavoratori in termini economici e normativi derivanti dall’applicazione di un CCNL con minore rappresentatività, sia l’esposizione nei confronti degli enti preposti a verifiche ispettive come l’INPS, l’INAIL, l’Ispettorato territoriale del lavoro competente.


Dunque, in ultima analisi, resta il problema principale della definizione legale di rappresentatività che continua e continuerà ad essere il “nodo fondamentale” della questione, fino a che non ci sarà un intervento del legislatore con una definizione analitica a chiarificatrice.

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