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L'applicazione delle sanzioni disciplinari alla categoria dei dirigenti industriali



In premessa è necessario ribadire che il dirigente è un lavoratore dipendente ed in quanto tale passibile dell'applicazione di sanzioni disciplinari.

Tale affermazione potrebbe sembrare un paradosso se si considera il ruolo ricoperto in azienda, in ogni caso, anche nei confronti di questa figura apicale della gerarchia aziendale trova applicazione quanto citato dall’articolo 7 della Legge n. 300/70.


Ciò nonostante in forza della particolarità del rapporto che lega il dirigente all'azienda, se pur possibile in via teorica il ricorso ai provvedimenti disciplinari, nei fatti è veramente raro che al dirigente venga comminata una sanzione disciplinare classica.

È opportuno precisare che il contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali non prevede l'obbligo di affissione del codice disciplinare, a differenza dei principali contratti collettivi delle altre categorie.

Per tutte le ipotesi di sanzioni disciplinari irrogate nei confronti di un dirigente la logica conseguenza di tale mancata affissione sembrerebbe dover essere, a priori, la nullità dell’azione sanzionatoria è pertanto utile rendere visibile l'estratto del Ccnl applicato alla generalità dei lavoratori anche anche a tutti i dirigenti.


Il contratto per i dirigenti prevede espressamente che per tutto quanto da esso non regolato trovi la propria disciplina nelle disposizioni del contratto collettivo applicato in azienda agli impiegati di più alto livello (art.27 CCNL Dirigenti di Aziende Industriali), sulla scorta di quanto appena esposto si può ritenere che anche ai dirigenti possa essere esteso il codice disciplinare previsto dal contratto di categoria per gli impiegati. In considerazione della particolarità del rapporto di lavoro dirigenziale, dovuto allo speciale vincolo di fiducia che lega questa categoria di dipendenti all'azienda, la Corte di Cassazione ha, di recente, escluso che ai provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei dirigenti si applichi la regola di proporzionalità tra infrazione e sanzione.


Si riporta l’estratto integrale dell’articolo contrattuale sopra citato:


Parte settima - Disposizioni generali — Articolo 27 — Disposizioni generali e condizioni di miglior favore 1. Per tutto ciò che non è diversamente regolato dal presente Contratto valgono - in quanto compatibili con la figura del dirigente - le norme contrattuali collettive e le norme legislative in vigore per gli impiegati di massima categoria dipendenti dall'azienda cui il dirigente appartiene.

2. Le condizioni stabilite eventualmente da accordi individuali, aziendali e territoriali più favorevoli, si intendono mantenute ad personam.


Tuttavia non può omettersi di considerare che esiste un contrasto giurisprudenziale che ha previsto l'esclusione dell'applicazione dell'articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori solamente nei confronti dei c.d. dirigenti di vertice e non anche nei confronti dei c.d. dirigenti convenzionali o vale a dire di quei soggetti che pur investiti di specifiche attribuzioni dirigenziali non presentino i requisiti sostanziali per poter essere considerati dirigenti di vertice.


Ad ogni buon conto la giurisprudenza più recente, anche recependo le esigenze di un mondo del lavoro in rapido mutamento, soprattutto nell'ambito dell'area manageriale ha sensibilmente cambiato orientamento ed ha superato la precedente visione del dirigente quale alter ego dell'imprenditore.


Difatti la nuova impostazione tende a considerare le mansioni che effettivamente vengono svolte da parte del prestatore (a prescindere dal fatto che lo stesso ricopra un ruolo di vertice oppure no) insistendo maggiormente sulle capacità professionali del soggetto, sulla responsabilità e sul grado di autonomia del proprio operato.

Ne consegue che qualora il rapporto di lavoro sia “incrinato” per oggettivi fatti che determinino la perdita del rapporto di fiducia tra l’azienda e il lavoratore possano essere attivate le procedure previste per la contestazione dei fatti.


Resta inteso che vista la particolare tipologia di rapporto ogni azione intrapresa dal datore di lavoro dovrà essere valutata e successivamente attivata con tutte le cautele del caso.


Difatti i dirigenti non rientrano nella possibile applicabilità del art.18 della legge 300/1970 e delle successive norme di tutela del rapporto di lavoro, supplisce a tale “carenza” la contrattazione collettiva che prevede che anche il licenziamento del dirigente debba essere giustificato.

La giusta causa di recesso nel rapporto con il dirigente deve essere individuata in un atto o fatto idoneo a ledere il rapporto di fiducia reciproca instaurato con il datore di lavoro distinguendo di fatto il recesso dal rapporto dirigenziale, rispetto alle altre forme di licenziamento.

la giurisprudenza fornisce un presupposto definito giustificatezza, che non coincide né con la giusta causa né con i giustificati motivi ed è una nozione più ampia ricomprendente tutte quelle ragioni oggettive e concretamente accertabili che derivano dalla particolarità del rapporto di fiducia sussistente fra il dirigente ed il datore di lavoro.

 

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