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Contratti a termine: proroga obbligatoria


Il contratto a termine crea alle aziende nuovi vincoli e nuovi costi: l’art. 93, comma 1-bis, della legge di conversione del decreto Rilancio stabilisce la prosecuzione dei contratti a termine per una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza da Covid-19.


Questa volta è il contratto a termine a creare alle aziende nuovi vincoli e nuovi costi: l’art. 93, c. 1-bis, della L. n. 77/2020 stabilisce la protrazione ex lege dei contratti a termine, anche in regime di somministrazione, e di apprendistato, non professionalizzante, per una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.


Se per l’apprendistato di primo e terzo livello la ratio del provvedimento può essere ricercata nella esigenza di consentire il completamento del percorso formativo (una disciplina analoga è già prevista a regime per le assenze superiori a 30 giorni), per il contratto a tempo determinato il differimento del termine finale appare illogico e ingiustificatamente oneroso per i datori di lavoro.

Dal momento che la legge di conversione del decreto Rilancio è entrata in vigore il 19 luglio 2020, si deve ritenere che la proroga “obbligatoria” riguardi i contratti a termine in essere alla predetta data, con esclusione quindi di quelli già scaduti.


L’effetto della proroga è costituito dal prolungamento “forzato” del rapporto a termine per un numero di giornate pari a quelle di sospensione dell’attività lavorativa conseguenti all’emergenza epidemiologica da COVID-19, normalmente coincidenti con quelle di intervento dell’ammortizzatore sociale emergenziale applicabile (assegno ordinario del FIS, CIGO o cassa in deroga).

Ad esempio, se il lavoratore a termine è rimasto assente per 14 settimane, cioè per le 9 settimane di ammortizzatore COVID del decreto Cura Italia e per le 5 aggiuntive del decreto Rilancio, le complessive giornate di sospensione ammonteranno a 60 giornate nel caso di distribuzione dell’orario su 5 giorni. Conseguentemente, il rapporto di lavoro a tempo determinato subirà lo “slittamento” del termine finale di 60 giornate.


Il prolungamento forzato del contratto a termine comporta per il datore di lavoro un onere straordinario e inatteso per una prestazione lavorativa che potrebbe non essere più necessaria.

Il datore di lavoro che decidesse di ignorare la disposizione, lasciando scadere il contratto al termine originariamente previsto, si esporrebbe alla rivendicazione da parte del lavoratore di un risarcimento corrispondente alla retribuzione per le giornate di lavoro “aggiuntive” riconosciute dalla legge, ma non prestate.

Per valutare il periodo di prosecuzione, le aziende dovranno contare numericamente, i giorni di assenza e di fatto prolungare il contratto in essere.

Restano in dubbio gli adempimenti da svolgere per la proroga dei contratti. Attendiamo in merito disposizioni e chiarimenti da parte del Ministero del lavoro e dell’INPS.


Visto quanto sopra riportato, non possiamo noi stessi fare a meno di restare "sorpresi" di quanto stabilito dalla disposizione appena emanata.

 

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