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La reperibilità



L'evoluzione del rapporto di lavoro e le dinamiche che articolano le prestazioni dei lavoratori stanno sempre più orientandosi ad una "flessibilità" nello svolgimento delle stesse, difatti l'attuazione del cosiddetto lavoro agile, la "flessibilità" dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed altri elementi correlati alla prestazione lavorativa sembrano sempre più dettare "nuove" e diverse articolazioni per raccordare le necessità delle aziende e la vita privata dei lavoratori. In tale contesto anche il ricorso alla reperibilità può essere preso in considerazione.


In linea generale l’istituto della reperibilità si configura come “una prestazione strumentale ed accessoria, qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistente nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizioni di essere prontamente rintracciato, in determinati archi temporali, in vista di un’eventuale successiva prestazione, cui corrisponde l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere uno specifico compenso aggiuntivo alla normale retribuzione”.


Pertanto, dalla giurisprudenza di legittimità emerge come la reperibilità viene considerata qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro e, per tale ragione, non risulta equivalente ad una effettiva prestazione lavorativa, ma comporta comunque, in linea generale, il diritto a un trattamento economico aggiuntivo.


Salvo un telegrafico riferimento normativo contenuto nell’articolo 7, D.Lgs. 66/2003, come modificato dall’articolo 41, comma 4, L. 133/2008, il servizio di reperibilità trova pressoché esclusiva regolamentazione nella contrattazione collettiva, la quale, in estrema sintesi, regola l’istituto stabilendo il diritto all’indennità di reperibilità nonché la possibilità di riposo compensativo.


Pertanto l’istituto risulta disciplinato dalla contrattazione collettiva attraverso la previsione di limiti e modalità attuative e, qualora la disciplina collettiva applicata nulla preveda al riguardo, risulta comunque possibile l’introduzione del regime di reperibilità mediante patto individuale tra il singolo dipendente e il datore di lavoro.


Per quanto sopra riportato ne consegue che in assenza di una norma certa prevista dal CCNL applicato (come nel caso in esame) il consenso allo svolgimento della prestazione debba essere individuale di ogni lavoratore potenzialmente reperibile.


Quindi il datore di lavoro non può esigere la reperibilità da un suo dipendente qualora questa possibilità non sia contemplata dal contratto collettivo nazionale di riferimento.


Difatti dalle norme del codice civile (articoli 2086, 2094, 2104) non può dedursi l’obbligo di reperibilità del lavoratore dipendente in quanto aggiuntivo rispetto alla prestazione ordinaria, ben altra cosa è se il CCNL applicato (come ad esempio il contratto dell’industria metalmeccanica) preveda espressamente il possibile ricorso da parte del datore di lavoro a tale istituto, in tale ipotesi il lavoratore non può esimersi dal rendersi disponibile.


In alternativa, e ove possibile, il datore di lavoro potrebbe stipulare un accordo aziendale con le rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative per poter “evitare” gli accordi individuali con i lavoratori.

 

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