Salario minimo garantito: situazione attuale
Negli ultimi giorni si è riaccesa una forte “discussione” tra tutte le parti sociali sull’opportunità di istituire in Italia il salario minimo garantito, già negli ultimi tre anni ci sono stati diversi disegni di legge per procedere in tale direzione senza che l’iter legislativo si sia effettivamente avviato.
Il confronto tra le parti interessate, (forze politiche, sindacati, datori di lavoro) affronta un nodo sostanziale sull’impatto che il salario minimo potrebbe avere sui costi e come potrebbe essere ammortizzato dalle piccole e medie imprese italiane che rappresentano gran parte del tessuto produttivo del nostro paese, che per effetto della disposizione avrebbero un incremento “pesante” dei costi che in alcuni casi potrebbe essere anche del 20/30% del costo orario.
In particolare per i lavoratori che svolgono mansioni non specializzate l’incremento retributivo avrebbe dei benefici sulla retribuzione percepita, tuttavia con dirette ricadute sul costo del lavoro difatti diversi contratti nazionali applicati per le qualifiche più basse prevedono dei minimi tabellari notevolmente inferiori ai parametri di cui si sente parlare.
In ogni caso sembrerebbe che si stiano maturando i tempi per affrontare la questione ed allineare il nostro paese alla maggioranza dei paesi europei.
Inoltre è in arrivo la direttiva europea sul salario minimo, difatti, nei prossimi giorni dovrebbe essere raggiunto l’accordo (tra Commissione, Parlamento e Consiglio) sulla proposta già votata al Parlamento UE lo scorso anno sul minimun wage.
La direttiva UE non fissa tuttavia un salario minimo comune per tutti, né impone questo parametro come obbligo contrattuale, semplicemente, mira a far istituire in ciascun Paese un quadro normativo che preveda salari minimi adeguati ed equi.
Pur non essendoci parametri certi da più parti si sente parlare di un importo minimo orario tra 8 o 9 euro, che tra l’altro è il valore di riferimento riportato nei disegni di legge presentati dalle diverse forze politiche.
Il salario minimo rappresenta, secondo una nozione condivisa, la retribuzione minima che dovrebbe essere garantita ai lavoratori per una determinata quantità di lavoro secondo la definizione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
L’istituto del salario minimo non deve essere confuso con il reddito minimo, finalizzato invece a garantire un minimo vitale a tutti i cittadini indipendentemente se lavoratori o meno in ragione di uno stato di bisogno accertato, tale presupposto è stato un elemento sostanziale per l’entrata in vigore della disposizione di legge sul reddito di cittadinanza.
Il salario minimo è, nelle intenzioni del legislatore quello di contrastare la povertà attraverso la garanzia di una retribuzione che debba avere dei parametri di “sufficienza economica” per far ciò lo Stato interviene nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari operata dal mercato al fine di incrementare le retribuzioni di coloro che sono in fondo alla scala salariale.
Inoltre, L’art. 36 della Costituzione stabilisce il diritto di ogni lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” divenendo di fatto un caposaldo di chi propone l’istituzione del salario minimo.
Nella maggior parte dei paesi europei il salario minimo viene fissato in maniera unica ed universale dalla legge, solamente in una minoranza di paesi 6 su 28 e precisamente Danimarca, Finlandia, Svezia, Cipro, Austria, Italia, è la contrattazione collettiva dei diversi settori che definisce la misura dei minimi di retribuzione, in tali di paesi sussiste una forte caratterizzazione sindacale con una contrattazione collettiva che negli anni è divenuta lo strumento principale per la determinazione delle retribuzioni.
Di seguito riportiamo a titolo esemplificativo i valori minimi mensili in euro per alcune nazioni europee assimilabili al nostro paese, il dato è espresso su base mensile:
- Francia 1555;
- Germania 1614;
- Belgio 1626;
- Olanda 1685;
- Irlanda 1724;
- Spagna 1167;
- Lussemburgo 2202.
Per meglio inquadrare la situazione dei dati sopra indicati riportiamo il dato estrapolato 1990 e il 2020 che riporta la crescita dei salari in Europa, la differenza tra il nostro paese e gli altri stati parla da sola, in Italia si attesta a un misero +3,2% in un intervallo temporale di 30 anni gli altri paesi a noi in qualche modo assimilabili hanno valori anche dieci volte superiori, a titolo esemplificativo Spagna +9,4%, Germania +34,5%, Francia +35,5%, Svizzera +28,7%, Stati Uniti +41,3%, Regno Unito: +46,7%.
È necessario far presente che nel nostro paese a fronte di una crescita dei salari molto più bassa degli altri paesi europei, è intervenuta una forte crescita del costo del lavoro con un incremento del carico previdenziale e degli oneri che, gravando sulle aziende, ha assorbito molte risorse a scapito delle retribuzioni riconosciute, a tal riguardo, è importante ricordare che l’Italia è il quarto paese in Europa per cuneo fiscale.
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